mercoledì 22 maggio 2013

“Sei note di pentagramma”: un libro speciale nella sua semplicità


Sebbene non mi autodefinisca un “divoratore di libri”, nel corso della mia vita mi è capitato di imbattermi in libri di racconti; il caso di “Sei note di pentagramma” dell’amico Franco Leonetti, tuttavia, rappresenta secondo me un caso a sé stante, e lo dico a prescindere dalla stima e dall’amicizia che mi legano a Franco.

La differenza tra “Sei note di pentagramma” e gli altri libri di racconti che mi è capitato di leggere nel corso della mia vita consiste in quello che è il “trait d’union” tra i diciotto racconti che compongono l’intera opera di Franco. Io sono sempre stato abituato a racconti che avessero trame molto speculari tra loro e distinguibili per elementi abbastanza secondari (per esempio i nomi dei personaggi o dei luoghi di ambientazione); l’elemento che accomuna i racconti che compongono “Sei note di pentagramma”, invece, è costituito dalla musica come elemento fondamentale nelle vite di personaggi tutti diversi tra loro.

I protagonisti di queste diciotto storie non hanno alcuna affinità tra loro, né in termini di stile di vita né in termini di provenienza geografica (dallo sfortunato cantante americano di “Nella gioia e nel dolore” all’italianissimo padre di famiglia che in “Un ruscello che scorre” si concede un’ultima vacanza con gli anziani genitori e il figlioletto, passando anche per il cantante nomade toscano di “Vita randagia” e per il frustrato ex giocatore di tennis in crisi esistenziale di “Freedom Bat (Pipistrello di Libertà)”), ma nella loro vita c’è la musica come elemento imprescindibile che rappresenta per loro tanto una sorta di “tratto identificativo” quanto un modo per uscire dalle secche in cui la vita li porta.

C’è poi un altro elemento che ritorna in tutti questi racconti così diversi tra loro: il fatto che ogni racconto contiene una frase che, di volta in volta, racchiude in sé l’intero senso della vita del personaggio e della storia che lo ha visto protagonista; non c’è, ad esempio, miglior frase se non “Bastardo il destino quando ci si mette. Bastardo…” per raccontare la sfortuna del protagonista di “Nella gioia e nel dolore”, che nel giorno del suo primo contratto al Teatro Metropolitan di New York vede i suoi sogni andare in frantumi a causa di una coltellata alla gola ricevuta durante una rapina. Merita una citazione, e non solo per le ragioni sopra citate, anche la frase “Buongiorno mondo, eccomi di nuovo qui. Pronta per ricominciare a combattere” che chiude il racconto “Piumini e specchi infranti”, e con esso il libro: chi di noi, in fondo, non se la dice (o non la pensa) davanti allo specchio quando si alza ogni mattina e si prepara ad affrontare la propria giornata?

Proprio quest’ultimo esempio, a mio parere, racchiude ciò che rende speciale questo libro, ossia il fatto che esso riesca a veicolare messaggi importanti senza ricorrere ad immagini auliche o a toni solenni, ma semplicemente raccontando spaccati di vita quotidiana di gente normale; d’altra parte, chi di noi non ha provato almeno una volta nella vita le sensazioni provate dai protagonisti di questi diciotto racconti?

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