mercoledì 29 maggio 2013

La memoria e il perdono

Rocco Acerra (28 anni), Bruno Balli (50 anni), Alfons Bos (35 anni), Giancarlo Bruschera (21 anni), Andrea Casula (11 anni), Giovanni Casula (44 anni), Nino Cerullo (24 anni), Willy Chielens (41 anni), Giuseppina Conti (17 anni), Dirk Daeneckx (38 anni), Dionisio Fabbro (51 anni), Jaques François (45 anni), Eugenio Gagliano (35 anni), Francesco Galli (25 anni), Giancarlo Gonelli (20 anni), Alberto Guarini (21 anni), Giovacchino Landini (50 anni), Roberto Lorentini (31 anni), Barbara Lusci (58 anni), Franco Martelli (22 anni), Loris Messore (28 anni), Gianni Mastroiaco (20 anni), Sergio Mazzino (38 anni), Luciano Rocco Papaluca (38 anni), Luigi Pidone (31 anni), Benito Pistolato (50 anni), Patrick Radcliffe (38 anni), Domenico Ragazzi (44 anni), Antonio Ragnanese (29 anni), Claude Robert, Mario Ronchi (43 anni), Domenico Russo (28 anni), Tarcisio Salvi (49 anni), Gianfranco Sarto (47 anni), Amedeo Giuseppe Spolaore (55 anni), Mario Spanu (41 anni), Tarcisio Venturin (23 anni), Jean Michel Walla (32 anni), Claudio Zavaroni (28 anni)

Bruxelles, 29 maggio 1985. Quella che sembra essere una giornata di festa per il popolo juventino, che si apprestava a festeggiare la prima Coppa dei Campioni vinta dalla squadra bianconera, si trasforma in un inferno: la barbarie degli inglesi, accompagnata dall'inadeguatezza dell'obsoleto stadio Heysel e del servizio d'ordine predisposto dalla polizia belga, scatena un fuggi fuggi generale dei tifosi italiani; nella calca che ne viene fuori 39 di loro perdono la vita. Da allora questo tragico evento, che in teoria non dovrebbe avere colore di questa o di quella squadra, viene sistematicamente oltraggiato dall'inciviltà di gente che prova un becero senso di gioia al solo pensiero che i morti fossero tifosi juventini; dai sistematici cori dei tifosi fiorentini (che oltraggiarono la memoria delle 39 vittime dell'Heysel già dalle settimane immediatamente successive) alle scritte sui muri da parte di romanisti e torinisti, fino ad arrivare a striscioni come "Acciaio scadente. Nostalgia dell'Heysel" comparso a San Siro durante Inter-Juventus dell'ottobre 2011 e alle scritte mostrate dai tifosi del Napoli sia durante la finale di Coppa Italia dello scorso anno che durante l'ultima sfida tra Napoli e Juventus al San Paolo.

Oggi, dunque, non è solo il giorno del ricordo di quell'eccidio, ma è anche il giorno del perdono. Il perdono che si spera le famiglie di quei 39 martiri possano riservare agli assassini dei loro cari, a tutti coloro che di essi oltraggiano la memoria, ma anche (se non soprattutto!) a questo paese: un paese che da quella tragedia non ha imparato proprio niente, come le cronache degli ultimi 20 anni hanno purtroppo insegnato; purtroppo la violenza negli stadi, che in Inghilterra da allora è stata combattuta con forza (strage dell'Hillsborough del 1989 a parte) e quasi del tutto debellata, in Italia sembra ormai diventata una triste abitudine.

Noi tifosi juventini (insieme a tutti gli altri tifosi non juventini che fortunatamente sono ancora in possesso di quella cosuccia chiamata "buon senso") oggi ricordiamo, speriamo che qualcun'altro possa perdonare...

lunedì 27 maggio 2013

Quante stranezze!


Con la finale di Champions League disputata sabato sera a Wembley, e con quella di Coppa Italia giocata ieri pomeriggio, si è ufficialmente chiusa la stagione calcistica 2012-13. La fine delle ostilità pallonare può tuttavia essere l'occasione per riflettere sulle tante stranezze del nostro calcio; stranezze che in larga parte riflettono quelle del Paese stesso (d'altra parte, che i malfunzionamenti del calcio italiano siano lo specchio dei tanti malfunzionamenti dell'Italia nel suo complesso non lo scopro nè lo dico io oggi, ma lo ha scritto anni fa un signore di nome Oliviero Beha).

Già, perchè in questa stagione il nostro calcio ha riservato non pochi aspetti bizzarri e curiosi: un calcio nel quale un allenatore viene squalificato perchè "non poteva non sapere" che la sua squadra e quella avversaria stessero combinando una partita, senza che però questo ragionamento valga anche per l'allenatore dell'altra squadra; un calcio nel quale l'allenatore sopra citato e altri tesserati sono stati processati e squalificati con processi di pochi giorni, ma in cui calciatori arrestati non sono ancora stati processati nè penalmente nè sportivamente, e addirittura uno di loro ieri ha potuto sollevare un trofeo con la fascia di capitano al braccio (si prega di leggere alla voce "Stefano Mauri"); un calcio nel quale un giornale ("Il Corriere dello Sport") si permette di criticare la scelta di una società (la Juventus) di assegnare la fascia di capitano ad un suo difensore indagato (Leonardo Bonucci) durante un'amichevole estiva, ma che non dice mezza parola in merito al calciatore arrestato di cui sopra; un calcio nel quale la giustizia sportiva va bene se colpisce una certa società e/o i suoi tesserati, ma che va immediatamente riformata se colpisce altre società; un calcio nel quale un membro di un collegio giudicante, a pochi minuti dall'emissione di una sentenza e senza che di essa siano state ancora rese note le motivazioni, si permette di andare in diretta radio ad esprimere opinioni sulla sentenza stessa (travisando, peraltro, alcuni dettagli fondamentali del dibattimento appena conclusosi); un calcio nel quale la voglia di cambiamento fa sì che alla guida della Lega Calcio venga rieletto un presidente dimissionario da 1 anno e 9 mesi e alla guida della FIGC venga confermato con voto plebiscitario un signore che in cinque anni ha combinato più disastri del PD (un'impresa a dir poco titanica!); un calcio nel quale ci si danna per avere come ospite il popolare cantante sudcoreano PSY prima della finale di Coppa Italia (con i risultati che abbiamo visto ieri pomeriggio), ma al tempo stesso non si riesce ad evitare che nello stadio venga portato l'arsenale sequestrato ieri dalla polizia; un calcio nel quale i presidenti dei club sono anche consiglieri in Lega Calcio (roba da far impallidire la lottizzazione che da decenni i partiti politici fanno in RAI); un calcio nel quale se una squadra ha un favore arbitrale si dice che ruba (o "rubba", per dirla alla romana) e che trucca i campionati, ma se ad una squadra viene concesso un numero spropositato di calci di rigore a favore che ne determinano in larga parte la qualificazione alla Champions League è tutto normale; un calcio nel quale gli insulti vengono spesso confusi con il razzismo, ma l'insulto alla memoria di persone morte diventa quasi un peccatuccio veniale; un calcio nel quale si tirano di nuovo fuori (al punto da costruirci sopra trasmissioni televisive) tesi accusatorie già smontate da una sentenza della Corte di Cassazione passata in giudicato; un calcio nel quale si diventa improvvisamente moralisti davanti all'esultanza smodata e per nulla offensiva di un allenatore per un'importante vittoria della propria squadra. Mi fermo qui per evitare di generare un'ondata di abbiocchi sugli schermi dei computer...

So già che leggendo queste righe mi si potrebbe facilmente rivolgere la critica di essere un "tifoso estremista", un "tifosetto da borgata" o di essere "fazioso" (mi auguro che coloro i quali decidano di usare questo termine lo facciano avendo chiaro il suo significato, cosa che non è mai accaduta finora). Oppure mi si potrebbe rivolgere una domanda che spesso mi viene rivolta, anche da cari amici, di questi tempi, ovvero "non ti sembra di esagerare?": probabilmente mettere in evidenza cose ritenute strane può voler dire esagerare, ma sicuramente non vederle significa essere totalmente ciechi o totalmente in malafede...

sabato 25 maggio 2013

A proposito di rivendicazioni...


Nei giorni scorsi le cronache sportive (e non solo) si sono riempite di vecchie-nuove accuse di doping alla Juventus stellare che nel 1996 portò a casa in un colpo solo tutti e tre i principali trofei internazionali (Champions League, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale); accuse già smontate da una sentenza definitiva del 30 marzo 2007, e accuse sulle quali ho avuto modo di esprimere la mia opinione sia in un mio articolo che in un mio intervento radiofonico. Storia nota, insomma!

Stamattina ero al bar e, sfogliando la "Gazzetta dello Sport", mi è capitato di leggere una frase pronunciata ieri in conferenza stampa da Jurgen Klopp, tecnico del Borussia Dortmund: "Nel ’97, la Juventus era più attrezzata del Borussia Dortmund che, invece, alzò la coppa". E mi è venuta in mente quella finale del 1997 a Monaco di Baviera, dove la Juventus di Lippi fu clamorosamente sconfitta per 3-1 dai gialloneri di Dortmund al termine di una partita costellata di sfondoni arbitrali: un rigore negato a Jugovic sullo 0-0, un gol regolare annullato a Vieri sul 2-0 e un altro rigore solare negato a Del Piero sul 2-1; orrori che poi si sono ripetuti anche l'anno successivo contro il Real Madrid (gol di Mijatovic viziato da un fuorigioco chilometrico), ma dei quali nessuno ha più memoria perchè tanto è sempre e comunque la Juve che "rubba".

Sul momento il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato il seguente: visto che ormai tutti rivendicano trofei meritatamente persi, quasi quasi potremmo iniziare a rivendicare pure noi una coppa persa meritatamente (l'arbitro può anche sfavorirti, ma se ti chiami Juventus, se un anno prima hai vinto tutto e se in rosa hai elementi del calibro di Zidane, Del Piero e compagnia cantante si presume che tu sia più forte del Borussia Dormund di Paulo Sousa, Heinrich, Riedle e Haessler!), ma anche per colpa di errori arbitrali. Poi però ho pensato a quanto la nostra dignità cadrebbe in basso se ci comportassimo così, e così ho desistito; ho chiuso il giornale, ho bevuto il mio caffè e sono andato via...

mercoledì 22 maggio 2013

“Sei note di pentagramma”: un libro speciale nella sua semplicità


Sebbene non mi autodefinisca un “divoratore di libri”, nel corso della mia vita mi è capitato di imbattermi in libri di racconti; il caso di “Sei note di pentagramma” dell’amico Franco Leonetti, tuttavia, rappresenta secondo me un caso a sé stante, e lo dico a prescindere dalla stima e dall’amicizia che mi legano a Franco.

La differenza tra “Sei note di pentagramma” e gli altri libri di racconti che mi è capitato di leggere nel corso della mia vita consiste in quello che è il “trait d’union” tra i diciotto racconti che compongono l’intera opera di Franco. Io sono sempre stato abituato a racconti che avessero trame molto speculari tra loro e distinguibili per elementi abbastanza secondari (per esempio i nomi dei personaggi o dei luoghi di ambientazione); l’elemento che accomuna i racconti che compongono “Sei note di pentagramma”, invece, è costituito dalla musica come elemento fondamentale nelle vite di personaggi tutti diversi tra loro.

I protagonisti di queste diciotto storie non hanno alcuna affinità tra loro, né in termini di stile di vita né in termini di provenienza geografica (dallo sfortunato cantante americano di “Nella gioia e nel dolore” all’italianissimo padre di famiglia che in “Un ruscello che scorre” si concede un’ultima vacanza con gli anziani genitori e il figlioletto, passando anche per il cantante nomade toscano di “Vita randagia” e per il frustrato ex giocatore di tennis in crisi esistenziale di “Freedom Bat (Pipistrello di Libertà)”), ma nella loro vita c’è la musica come elemento imprescindibile che rappresenta per loro tanto una sorta di “tratto identificativo” quanto un modo per uscire dalle secche in cui la vita li porta.

C’è poi un altro elemento che ritorna in tutti questi racconti così diversi tra loro: il fatto che ogni racconto contiene una frase che, di volta in volta, racchiude in sé l’intero senso della vita del personaggio e della storia che lo ha visto protagonista; non c’è, ad esempio, miglior frase se non “Bastardo il destino quando ci si mette. Bastardo…” per raccontare la sfortuna del protagonista di “Nella gioia e nel dolore”, che nel giorno del suo primo contratto al Teatro Metropolitan di New York vede i suoi sogni andare in frantumi a causa di una coltellata alla gola ricevuta durante una rapina. Merita una citazione, e non solo per le ragioni sopra citate, anche la frase “Buongiorno mondo, eccomi di nuovo qui. Pronta per ricominciare a combattere” che chiude il racconto “Piumini e specchi infranti”, e con esso il libro: chi di noi, in fondo, non se la dice (o non la pensa) davanti allo specchio quando si alza ogni mattina e si prepara ad affrontare la propria giornata?

Proprio quest’ultimo esempio, a mio parere, racchiude ciò che rende speciale questo libro, ossia il fatto che esso riesca a veicolare messaggi importanti senza ricorrere ad immagini auliche o a toni solenni, ma semplicemente raccontando spaccati di vita quotidiana di gente normale; d’altra parte, chi di noi non ha provato almeno una volta nella vita le sensazioni provate dai protagonisti di questi diciotto racconti?

domenica 19 maggio 2013

Caro Walter, la matematica non è un'opinione!


Con ogni probabilità, quella di ieri è stata l'ultima conferenza stampa di Walter Mazzarri da allenatore del Napoli: in attesa di conoscere la sua destinazione futura (si parla di Roma, ma ieri è rispuntata con forza l'ipotesi Inter), il tecnico livornese lascerà la panchina azzurra dopo tre anni e mezzo; un "quasi quadriennio" in cui i partenopei hanno ottenuto risultati onorevoli (due piazzamenti in Champions League senza passare dai preliminari, un ottavo di finale di Champions ottenuto dopo aver superato un girone difficile sulla carta e una Coppa Italia conquistata) e altri decisamente meno (eliminazione dall'ultima Europa League contro il semi-sconosciuto Viktoria Plzen ed eliminazione dall'ultima Coppa Italia agli ottavi di finale contro il Bologna).

Ieri, tuttavia, Mazzarri è tornato sull'argomento "bilancio della sua gestione" e, dopo aver dichiarato nelle scorse settimane che il Napoli secondo in classifica aveva vinto di fatto lo scudetto (poco importa che i partenopei siano stati realmente in corsa per il titolo fino a febbraio...), si è lasciato andare ad una dichiarazione quantomeno azzardata secondo cui il Napoli sarebbe stata la squadra che in questi quattro anni ha fatto meglio di tutte le altre squadre ("La nostra vittoria è quella di aver scritto la storia recente di questa società perché in base a determinati parametri in questi quattro anni abbiamo fatto meglio di qualsiasi altra squadra italiana"). Poichè controbattere a questa frase in punta di opinione sarebbe facile e il rischio di vedermi arrivare addosso anatemi di ogni tipo sarebbe ai limiti della certezza, proviamo a dar retta al buon Walter e a fare un conto dei punti totalizzati in queste quattro stagioni da Juventus e Napoli

Napoli: 59 (stagione 2009-10, conclusa al 6° posto) + 70 (stagione 2010-11, conclusa al 3° posto) + 61 (stagione 2011-12, conclusa al 5° posto) + 78 (stagione 2012-13, con una partita ancora da disputare) = 268 punti (271 se oggi i partenopei batteranno la Roma nell'ultima gara di campionato)
Juventus: 55 (stagione 2009-10, conclusa al 7° posto) + 58 (stagione 2010-11, conclusa al 7° posto) + 84 (stagione 2011-12, conclusa con lo scudetto) + 87 (stagione attuale, conclusa con un altro scudetto) = 284 punti
N.B.: nel conteggio dei punti totalizzati dal Napoli nella stagione 2009-10 sono inclusi anche i 7 punti totalizzati dai partenopei prima che Mazzarri subentrasse all'esonerato Donadoni

Come ebbi modo di dire nella mia prima apparizione televisiva, "partiamo dai numeri perchè i numeri non mentono mai". A meno che, ovviamente, Mazzarri non voglia formare, insieme ad Adriano Galliani, un trust di cervelli capaci di riformulare la matematica; con tanti saluti a quei poveri fessi di Archimede, Euclide, Pitagora, Talete, Cartesio, Fermat, Lagrange e compagnia cantante...

mercoledì 15 maggio 2013

Corsi e ricorsi storici...


28 maggio 2012. Antonio Conte viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Cremona che sta indagando sul calcioscommesse. Immediata la reazione dei media, che iniziano a paventare scenari di lunghe squalifiche, di penalizzazioni che potrebbero colpire la Juventus (nonostante le imputazioni a carico di Conte fossero riferite al periodo in cui il mister allenava il Siena) e di una società bianconera pronta a scaricare il suo allenatore per puntare su Prandelli al termine degli Europei; a placare il gran vociare ci pensano lo stesso Conte e il presidente Agnelli, che nel pomeriggio di quello stesso giorno si presentano in una conferenza stampa in cui il numero uno bianconero ribadisce la propria fiducia incondizionata nei confronti del mister. I media di cui sopra, quelli che sempre tutto capiscono e (soprattutto) sempre in tutto ci azzeccano, ci riprovano dopo la sentenza di primo grado che infligge 10 mesi di squalifica all'allenatore bianconero: lo scenario ipotizzato da "La Repubblica", infatti, è quello di un Conte dimissionario dopo la finale di Supercoppa Italiana a Pechino contro il Napoli; un tentativo piuttosto blando, visto che il tutto si sgonfia nello spazio di poche ore.

15 maggio 2013. Dopo giorni in cui le parole di Conte ("Voglio chiarezza dalla società") hanno dato adito agli scenari più cupi (c'è chi parla addirittura di una Juventus alla finestra per ingaggiare Walter Mazzarri, mentre la "Gazzetta dello Sport" titola a tutta pagina "Agnelli & Conte: il grande freddo"), nel tardo pomeriggio viene convocato un meeting in Corso Galileo Ferraris: al tavolo ci sono Antonio Conte, Andrea Agnelli, Giuseppe Marotta, Fabio Paratici e Pavel Nedved. In serata Conte esce dalla sede della Juventus e dichiara: "Resto alla Juventus per continuare a costruire".

Ritentino lorsignori, sarà per un'altra volta. Speriamo solo, però, che la "parabola discendente dei sostituti" si interrompa: considerato che l'anno scorso doveva arrivare Prandelli e quest'anno Mazzarri, continuando di questo passo la prossima volta potrebbe (come minimo!) tornare Delneri...

lunedì 13 maggio 2013

Razzismo "ad personam"? Non scherziamo!


La partita di ieri sera tra Milan e Roma a San Siro non passerà certo alla storia per le emozioni regalate al pubblico (nel secondo tempo era più simile ad una partita tra scapoli e ammogliati), quanto per alcune peculiarità: la telecronaca di Mauro Suma su Milan Channel (per quanto io condivida lo 0,0001% delle tesi espresse da Suma, non metto in dubbio che sul piano folkloristico egli sia un numero uno assoluto), i 33 secondi di follia che hanno colpito Muntari (dopo la maglietta tirata addosso all'arbitro Palanca in uno Juventus-Udinese del febbraio 2006 e il mini-show di mercoledì scorso a Pescara, il buon Sulley ci è ricascato) e, soprattutto, l'interruzione del gioco decisa dall'arbitro Rocchi a causa di "buu" che la curva romanista ha indirizzato a Mario Balotelli.

Ovviamente quest'episodio ha fatto subito riemergere la "questione razzismo": post di tifosi milanisti indignati (a tal proposito sarebbe interessante sapere quanta stima nutrivano nei confronti di Balotelli fino al gennaio di quest'anno e, specialmente, negli anni in cui SuperMario era l'idolo dell'altra tifoseria milanese) e criminalizzazione pressochè indiscriminata della tifoseria romanista (tifoseria che non amo affatto e dalla quale mi dividono un milione di cose). Questo finchè questa mattina non è apparsa un'immagine che mostrava uno striscione esposto dai supporters romanisti a San Siro, il quale recitava testualmente "Non ti insultiamo perchè sei di colore, ma perchè sei 'no st****o senza onore"; uno striscione che fa il paio con quello esposto dai tifosi juventini durante l'ultimo Juventus-Milan e che recitava "No al razzismo, sì al salto". Come dire "quello nei confronti di Balotelli non è razzismo, ma pura e semplice antipatia sportiva".

Probabilmente il nocciolo della questione è proprio questo. D'altra parte mi si dovrebbe spiegare come mai il razzismo colpisce sistematicamente Balotelli (una singolare forma di razzismo "ad personam"!) e non, per esempio, altri calciatori di colore che giocano nelle squadre di cui lui fa parte: per fare un paio di esempi, l'Inter che affrontò la Juventus il 20 aprile 2009, quando si sentirono i primi cori da parte dei tifosi juventini, schierava titolare anche Muntari, mentre il Milan di ieri sera schierava lo stesso Muntari, Zapata, Constant e Boateng; a meno che non mi si voglia far credere che i calciatori appena citati siano dei "visi pallidi" o che i televisori su cui guardo di volta in volta le partite abbiano dei malfunzionamenti che fanno passare per neri dei calciatori che in realtà sono bianchi come dei cenci. Non sarà, forse, che alimentare le cronache sportive di campagne eccessivamente moralistiche consente di vendere copie sollecitando il tifo italiano su quel vecchio vizio italiota chiamato moralismo? E' una spiegazione possibile che butto lì, magari mi sbaglio...

In conclusione, è bene puntualizzare alcune cose. La prima è la mia considerazione personale nei confronti di Balotelli: un calciatore che stimo molto sul piano tecnico (in un paio di occasioni mi è capitato di scrivere che quando decide di fare il grande attaccante, come ad esempio nella semifinale degli ultimi Europei contro la Germania, non ce n'è per nessuno), ma che certo non posso ammirare sul piano caratteriale; una distinzione che è bene fare, specie perchè 99,9 volte su 100 molta gente che mi conosce confonde (o fa finta di confondere) questi due aspetti. La seconda considerazione è la seguente: se ieri si è interrotto il gioco per dei "buu" ritenuti oggettivamente sgradevoli, cosa bisognerebbe fare quando si insulta la città di Napoli o quando si infanga la memoria di 39 persone? Da ultimo, un piccolo salto indietro dovuto ad un mio momentaneo vuoto di memoria: nel 2009, all'indomani dei primi cori contro Balotelli, il suo capitano di allora Javier Zanetti ebbe a dire che in caso di cori razzisti provenienti dalla curva interista a San Siro, egli avrebbe intimato all'arbitro di sospendere il gioco; qualcuno ricorda se, dopo i "buu" razzisti che la curva nerazzurra indirizzò pochi mesi dopo allo juventino Sissoko, il capitano dell'Inter ha tenuto fede alla sua promessa, o se l'arbitro di quella gara si comportò come si è comportato ieri il suo collega Rocchi?

martedì 7 maggio 2013

Addio a Ferruccio Mazzola, uno Zeman meno fortunato...


E' morto quest'oggi, all'età di 68 anni, Ferruccio Mazzola. Ferruccio Mazzola, per chi non lo sapesse, è il fratello minore del ben più famoso Sandro e con lui ha militato, seppur come riserva, nella "Grande Inter" allenata dal “Mago” Helenio Herrera che, con in campo gente del calibro di Giacinto Facchetti, Armando Picchi, Angelo Domenghini, Mario Corso e Luis Suarez, aveva vinto tutto in Italia, in Europa e nel mondo. Il nome di Ferruccio Mazzola, tuttavia, è legato ad una vicenda alquanto controversa e che, come tale, ben poco spazio ha trovato sui mezzi d'informazione sportiva del nostro paese.

Nel 2004 esce un libro titolato “Il terzo incomodo”, scritto proprio dall'ex calciatore interista (il quale, appese le scarpette al chiodo, si era anche cimentato con l'esperienza da allenatore ottenendo risultati alquanto mediocri). Nel suo libro Mazzola parla dell’abuso di sostanze dopanti come pratica piuttosto diffusa nello spogliatoio interista: il “Mago”, infatti, sarebbe stato solito distribuire a titolari e a riserve (con dosi massicce soprattutto per le seconde, usate come vere e proprie cavie) delle pasticche simili ad anfetamine (anche se va detto che Mazzola nel suo libro dichiara di non avere la certezza che si trattasse di anfetamine); nel libro, e in un’intervista rilasciata successivamente al settimanale “L’Espresso”, Mazzola cita casi specifici, come quelli di Armando Picchi (capitano di quella squadra, morto nel 1971 a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale), Carlo Tagnin (morto nel 2000 per un osteosarcoma) e Mauro Bicicli (morto nel 2001 di tumore al fegato), giocatori le cui morti sarebbero imputabili a tali pratiche. Le accuse di Ferruccio Mazzola, riportate sia nel libro che nella citata intervista, sono gravi e hanno immediatamente conseguenze giudiziarie: poco dopo, infatti, l’allora numero uno nerazzurro Giacinto Facchetti (ex compagno di Mazzola junior) lo querela con una richiesta di danni morali e patrimoniali di 3 milioni di euro (cifra che, se pagata, avrebbe dovuto essere devoluta in beneficienza); il giudice, tuttavia, non riscontra alcuna diffamazione nelle parole di Mazzola e respinge la richiesta di danni della società nerazzurra, che si ritrova anche costretta a pagare le spese processuali.

Parole pesanti, dunque. Parole che ricordano molto quelle che un certo allenatore boemo rilasciò nell'estate del 1998 a proposito di una certa squadra e del suo presunto abuso di farmaci. Con una sola, ma al tempo stesso sostanziale, differenza: mentre i calciatori che secondo Zeman avrebbero beneficiato dell'abuso di farmaci da parte del dottor Agricola sono ancora tutti vivi e vegeti, i casi citati da Ferruccio Mazzola riguardano calciatori che sono tutti morti di cancro. Eppure non risulta che il libro e l'intervista del Mazzola del 2004 abbiano avuto lo stesso risalto mediatico delle parole di Zeman nel 1998 (si ricorderà come le parole di Zeman abbiano occupato per settimane le prime pagine dei giornali e abbiano dato il via ad un processo che è durato fino al marzo del 2007); nè, ovviamente, si è mossa alcuna Procura per indagare in merito alle asserzioni di Mazzola, specie se si considera che eventuali reati commessi quasi cinquant'anni fa sarebbero ormai (e sai che novità!) tutti prescritti...