sabato 26 luglio 2014

Cambiamento! Anzi no...


Al netto di improbabili cataclismi, l’11 agosto Carlo Tavecchio verrà formalmente incoronato come nuovo presidente della FIGC. In questi giorni si è infatti delineato ufficialmente il fronte che sosterrà la candidatura dell’attuale numero uno della Lega Nazionale Dilettanti, a favore del quale ci saranno i voti della Lega Pro guidata dal suo braccio destro Mario Macalli, quelli della Lega di Serie B guidata da Andrea Abodi (considerata la mia stima nei confronti di Abodi, devo dire che questa scelta mi ha deluso tantissimo!) e quelli della Lega di Serie A, con le sole eccezioni della Juventus e della Roma; a favore dell’altro candidato Demetrio Albertini, dunque, rimangono i due club “dissidenti” della Serie A, oltre ai calciatori e agli allenatori. 

Tuttavia, nonostante a favore di Tavecchio la Serie A abbia espresso un voto quasi plebiscitario, ci sono dei nomi che inosservati non passano affatto:
  • Tommaso Ghirardi (Parma): basta andare a riascoltare le sue parole all’indomani dell’esclusione del club ducale dall’Europa League;
  • Aurelio De Laurentiis (Napoli): tralasciando (fino ad un certo punto!) scene tipo la famosa fuga in motorino di tre anni fa, gli archivi delle redazioni giornalistiche traboccano di dichiarazioni del patron partenopeo circa la necessità di cambiare un prodotto calcistico difficile da vendere nel mondo;
  • Erick Thohir (Inter): tenuto conto del fatto che stiamo parlando dell’uomo che avrebbe dovuto rivoluzionare la cultura del marketing nel calcio italiano in ragione della sua cultura manageriale americana, c’era da aspettarsi che il nuovo patron interista fosse il primo sostenitore delle dichiarazioni rilasciate nelle scorse settimane da Andrea Agnelli prima e da Barbara Berlusconi poi;
  • Diego Della Valle (Fiorentina, anche se formalmente il presidente del club viola è Mario Cognigni): gli slogan per un calcio nuovo da parte del patron viola si sprecano sin dal 2004, quando fu sconfitto da Adriano Galliani nella corsa per diventare presidente di Lega.

Spero che nessuno si offenderà se in futuro dovesse scapparmi da ridere leggendo eventuali lamentele sul calcio che non funziona da parte dei soggetti finora elencati: del resto invocare a gran voce il cambiamento e, di fronte alla possibilità concreta di concretizzarlo (o comunque di favorirlo), scegliere la conservazione è un po’ come partecipare a campagne anti-tabagismo e poi recarsi dal tabaccaio sotto casa per comprare la stecca di sigarette. Un leggerissimo controsenso, no?


Foto: tuttosport.com

martedì 22 luglio 2014

Rinnovamento o restaurazione? Questo è il dilemma...


Ieri è stata sciolta anche l'ultima riserva: l'11 agosto sarà Demetrio Albertini a contendere a Carlo Tavecchio la poltrona di presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, vacante dal giorno in cui Giancarlo Abete ha rassegnato le dimissioni in seguito al flop della Nazionale azzurra agli ultimi Mondiali in Brasile.

Numeri alla mano, il favorito per la presidenza della FIGC è sicuramente Tavecchio, che può contare sui voti della Lega Nazionale Dilettanti da lui presieduta "solo" dal 1999, su quelli della Lega Pro presieduta dal suo braccio destro Mario Macalli (un altro dilettante in questo ruolo, dato che la sua elezione risale al 10 gennaio 1997!) e su quella parte della Lega di Serie A che fa capo all'attuale presidente Maurizio Beretta e ai suoi fedelissimi Adriano Galliani e Claudio Lotito: in termini percentuali, il 71enne Tavecchio può contare più o meno sul 60% dei voti. Dall'altra parte Albertini può contare su due sponsor di primissimo piano come il presidente della Juventus Andrea Agnelli (non a caso vittima di un violento attacco da parte di Macalli non molto tempo fa!) e sull'amministratore delegato all'area commerciale del Milan Barbara Berlusconi, ma l'ex centrocampista della Nazionale ha il non facile compito di cercare i voti che gli consentano di ridurre il gap nei confronti del suo sfidante, che a questa "missione" si sta dedicando praticamente dal giorno in cui Abete si è fatto da parte.

Voglio essere estremamente sincero: detto che sono contrario nella maniera più assoluta all'elezione di Tavecchio perchè stiamo parlando di un signore che è l'espressione più lampante di un sistema da buttare dopo tutti i danni arrecati al calcio italiano negli ultimi 25 anni, mi sarei aspettato che a guidare il fronte dei "rinnovatori" fosse qualcun'altro e non Albertini. Non perchè l'ex centrocampista del Milan e della Lazio non sia una persona perbene (mai penserei una cosa del genere di lui, così come non la penso del suo sfidante!), ma perchè stiamo parlando di un signore che nel 2006 è diventato vice dell'allora commissario straordinario Guido Rossi (il nome basta e avanza, no?) e nel 2007 è diventato il numero due del neo-eletto Abete: forse come alfiere del rinnovamento del calcio italiano sarebbe stato più indicato qualcuno con spiccate abilità manageriali e che, al tempo stesso, nulla avesse avuto a che spartire in passato con la burocrazia che ha governato il pallone nostrano fino a ieri e che potrebbe continuare a governarlo domani se a vincere fosse il fronte pro-Tavecchio.

Tuttavia, poichè queste sono le forze in campo e Albertini rappresenta l'unica alternativa alla perpetrazione di una nomenclatura che va esautorata quanto prima, resta da augurarsi che l'11 agosto sia lui a vincere: del resto una FIGC presieduta da Albertini garantirebbe un minimo margine di cambiamento, mentre nel caso in cui a spuntarla fosse il suo sfidante la restaurazione sarebbe garantita (e drammatica, ben inteso!).

P.S. Un'altra cosa che colpisce in tutta questa situazione è il dualismo che si sta consumando nel Milan, dato che in questa contesa i due amministratori delegati della società rossonera si trovano su fronti contrapposti...


Foto: sport.romaonline.org

giovedì 17 luglio 2014

L'unica strada: andare avanti!


I sentimenti, da che mondo e mondo, sono una cosa soggettiva. E io, per altri miei vissuti passati che nulla avevano a che vedere con il calcio, ho imparato che in certi momenti non importa quanto un distacco o un trauma possa essere doloroso perché l’unica cosa che conta è reagire e andare avanti; il che non significa, ovviamente, che tutto ciò sia facile (anzi, tutt’altro!), che non si stia veramente di me…lma e che non si soffra per il distacco o il trauma di cui sopra. 

Vengo al punto. Se dicessi che la notizia delle dimissioni di Antonio Conte da allenatore della Juventus non mi ha scioccato, penso che la maggior parte di coloro che mi seguono sui social network, leggono i miei articoli e mi ascoltano in radio mi sputerebbero in un occhio perché penserebbero che li stia prendendo in giro: per questo allenatore ho provato un’ammirazione infinita, anche se posso affermare fieramente che quest’ammirazione non mi ha impedito di criticarne alcuni errori (se non vi fidate, andate a leggere cosa ho scritto durante questi tre anni). 

Ma Antonio Conte, ahinoi, da due giorni non è più l’allenatore della Juventus. Adesso c’è Massimiliano Allegri: una scelta che non mi fa impazzire, visto anche che un paio di anni fa non ero troppo tenero nei confronti del tecnico livornese per alcune sparate sue senza né capo né coda, ma della quale non posso che prendere atto. E prendere atto del fatto che Allegri è il nuovo tecnico bianconero significa che da oggi in poi farò esattamente ciò che faccio da quando scrivo di Juventus: elogiarne le scelte che condivido e criticarne quelle che non condivido; il tutto senza quell’approccio manicheo che in tanti stanno adottando da 48 ore a questa parte (per semplificare: o stai con la società o stai con Conte!) e che a me fa personalmente venire il voltastomaco. Da quando tifo Juventus ho visto avvicendarsi sulla panchina bianconera dieci allenatori (Lippi, Ancelotti, Capello, Deschamps, Ranieri, Ferrara, Zaccheroni, Delneri, Conte e adesso Allegri) che ho apprezzato in maniera diversa e con sfumature diverse (“de gustibus…”, dicevano gli antichi), ma senza mai perdere di vista il concetto-base: io tifo per la JUVENTUS, a prescindere da chi la allena e da chi ci gioca! E il mio tifo è tale nel bene, ma anche (se non soprattutto!) nel male! 

Posso fieramente dire che in vent’anni di tifo juventino ho gioito (e tanto!) per dieci scudetti, una Coppa Italia, cinque Supercoppe Italiane, una Champions League, una Supercoppa Europea e una Coppa Intercontinentale, ma allo stesso tempo ho sopportato anche cose decisamente meno piacevoli: una retrocessione in Serie B, con annessi insulti e sfottò; il fatto che venissero definiti “dirigenti juventini” personaggi del calibro di Cobolli, Gigli, Blanc e Secco (quella famosa epoca della “Juventus simpatica” che i miei amici anti-juventini rimpiangono un giorno sì e l’altro pure!); l’alternarsi di quattro allenatori (Ranieri, Ferrara, Zaccheroni e Delneri) nello spazio di tre sole stagioni; acquisti improbabili come quelli dei vari Grygera, Molinaro, Diego, Felipe Melo, Knezevic, Andrade, Poulsen (comprato al posto di Xabi Alonso!), Motta, Martìnez e compagnia cantante. E volete che, dopo essere sopravvissuto a tutto questo, sia un problema per me accettare che sulla panchina bianconera si sia seduto Massimiliano Allegri, che pure non mi fa impazzire? Ma fatemi il piacere…

P.S. Quelle che avete potuto leggere finora sono le mie ultime righe sulla questione relativa alle dimissioni di Conte! Del resto anche sui social network mi sono abbondantemente espresso sull'argomento, perciò non voglio aggiungere altro alle cose dette e scritte nei giorni scorsi. E sia chiaro che questo non significa rinnegare tre anni fantastici e indimenticabili (del resto l'ammirazione che ho avuto per Conte è una cosa che non rinnegherò mai!), ma è l'unico modo per andare avanti dopo lo scossone di due giorni fa. Perchè, come già ho specificato in apertura, andare avanti è terribilmente difficile e costa fatica, ma al tempo stesso è l'unica cosa da fare per poter guardare al futuro senza rimanere prigionieri del passato. E posso garantirvi che questo ragionamento vale per tutti i campi della vita, anche per quelli infinitamente più importanti del calcio...



Foto: www.calciomercatonews.com

martedì 15 luglio 2014

Dimissioni (sue) e...riflessioni (mie)!


Ho voluto aspettare un po’ di tempo prima di scrivere queste righe perché volevo evitare di scrivere di getto e cercare di mantenermi il più possibile razionale. E poiché, in un’occasione del genere, la retorica spicciola e i giri di parole inutili sono le prime cose che voglio evitare, andrò subito al sodo con un paio di considerazioni del tutto personali: 

- Ho ascoltato il breve video-messaggio con cui Conte ha annunciato la propria decisione di rescindere consensualmente il contratto che lo legava alla Juventus, ho sentito le parole pronunciate a tal proposito da Gianluigi Buffon e ho letto la lettera aperta scritta da Andrea Agnelli e pubblicata sul sito ufficiale della Juventus: personalmente, fino a quando non saranno arrivate spiegazioni da ambo le parti, ovvero società e diretto interessato, mi guardo bene dall’appiccicare etichette di innocenti e colpevoli a destra e a manca; del resto le posizioni manichee non mi sono mai appartenute e non inizieranno certamente ad appartenermi in questo caso. Ciò premesso, sarà bene che entrambe le parti spieghino presto e bene come si è arrivati a questa situazione… 

- Fermo restando quanto detto al punto precedente, la tempistica è senza dubbio la prima cosa che è poco chiara in tutta questa situazione: che senso ha avuto, infatti, decidere di proseguire fino alla scadenza naturale del contratto e poi di colpo mollare tutto al secondo giorno di ritiro? - Sostituire Conte alla fine dello scorso campionato o al termine del prossimo sarebbe stata un’impresa titanica, dato che non è mai facile sostituire un allenatore che ha ottenuto i risultati che ha conseguito il mister salentino; se poi questa sostituzione ci si ritrova a doverla fare a preparazione estiva già avviata e a campagna acquisti in corso, la difficoltà si amplifica in maniera esponenziale… 

- Posto che Mourinho, Ancelotti e compagnia cantante sono inarrivabili e che Allegri e Mancini finirebbero con lo scontrarsi da un lato con un’eredità pesantissima e dall’altro con una piazza che non li ha mai amati, a questo punto credo che il male minore possa essere la promozione di Massimo Carrera, che dello staff tecnico di Conte ha fatto parte in tutti questi anni (dopo essere stato collaboratore tecnico della Juventus dal 2009 al 2011) e che ha già dato prova di saper gestire una fase di transizione nel periodo in cui sia Conte che Alessio erano squalificati per la storia del calcioscommesse; una fase di transizione gestita da Carrera permetterebbe poi alla società di voltare definitivamente pagina l’anno prossimo, e a tal proposito un nome che mi piacerebbe molto è quello di Vincenzo Montella. Se poi la Federazione francese dovesse liberare quel Didier Deschamps che agli ultimi Mondiali ha ben impressionato sulla panchina della Francia e che nel 2007 riportò la Juventus in Serie A prima di dimettersi in seguito a dissidi con quel noto esperto di calcio chiamato Alessio Secco, allora sarebbe un altro paio di maniche… 

-Odo l’augelli far festa”! Mi perdonerà il sommo Giacomo Leopardi se prendo in prestito questo verso della sua poesia “La quiete dopo la tempesta”, ma penso non ci siano parole migliori per descrivere la libidine che in questo momento sta attraversando l’Italia pallonara anti-juventina (da Milano a Roma, passando per la Torino granata, fino ad arrivare a Firenze e Napoli). Però non me la sento di biasimarli, anzi li capisco perfettamente e hanno tutta la mia umana comprensione: del resto, senza le dimissioni di Conte e l’immensa nube di incognite che avvolgono la Juventus, la stagione di molte delle squadre in questione sarebbe partita priva di alcun senso…

- Detto che le persone citate al punto precedente le capisco, mi permetto di invitarle ad aspettare prima di stappare lo champagne: da che mondo e mondo, anche nel calcio i funerali è sempre meglio celebrarli quando si hanno davanti i defunti...

- L’ammirazione che ho sempre nutrito nei confronti di Antonio Conte è nota e non saranno certamente queste dimissioni a farmele rinnegare, così come in passato gli indubbi difetti caratteriali del mister non hanno mai scalfito l’ammirazione medesima: ho sempre detto che preferivo un allenatore antipatico, a tratti spocchioso, ma vincente ad altri allenatori tanto simpatici e accomodanti quanto perdenti (ogni riferimento a Ranieri, Ferrara, Zaccheroni e Delneri NON è da intendersi come puramente casuale!). Ciò detto, le dimissioni di Conte non raffreddano in alcun modo la mia fede juventina: con tutta l’ammirazione di cui parlavo prima, se sono sopravvissuto all’uragano Calciopoli e ai sei anni terribili che ne sono scaturiti, non saranno certamente le dimissioni di un allenatore a raffreddare il mio tifo per quei colori. FINO ALLA FINE, per l’appunto!

Fermo restando tutte le cose scritte nelle righe precedenti, consentitemi di chiudere ringraziando l'uomo che nel 2011 ha preso la Juventus distrutta dagli anni tremendi del post-Calciopoli e l'ha portata a vincere tre scudetti e due Supercoppe Italiane polverizzando ogni record: GRAZIE DI TUTTO, ANTÒ!


Foto: www.echeion.it

lunedì 14 luglio 2014

Germania-Argentina 1-0 d.t.s. (Mondiali, finale): qualche considerazione...


Il gol segnato all'ottavo minuto del primo tempo supplementare da Mario Goetze ha permesso alla Germania di battere l'Argentina per 1-0 nella finale del Maracanà e di laurearsi Campione del Mondo: per i tedeschi si tratta della quarta vittoria in un Mondiale dopo quelle ottenute in Svizzera nel 1954, in casa nel 1974 e in Italia nel 1990.
Andiamo dunque a snocciolare alcuni temi legati alla finalissima di Rio...

ONORE AL MERITO! – Da italiano non amo particolarmente la Germania, ma sarebbe da sciocchi non ammettere che la squadra teutonica ha ampiamente meritato la vittoria perché si è dimostrata di gran lunga la più forte. E poi, dopo il terzo posto ai Mondiali del 2006, il secondo agli Europei del 2008 e il terzo ai Mondiali di quattro anni fa in Sudafrica, era ora che la squadra di Loew raccogliesse i frutti di un lavoro che parte da lontano e di cui si parlerà nel dettaglio più avanti 

CORSI E RICORSI… – Quattro anni fa a Johannesburg la finale tra Spagna e Olanda fu decisa da un gol di Andrès Iniesta nei supplementari dopo che Robben aveva fallito una ghiotta opportunità a tu per tu con Casillas. Allo stesso modo, a Rio de Janeiro la finale tra Germania e Argentina è stata decisa da un gol di Mario Goetze nei supplementari dopo che nel primo tempo regolamentare Higuaìn aveva fallito una clamorosa occasione da gol a tu per tu con Neuer. Per la serie “corsi e ricorsi storici”…

IL GOL CHE ARRIVA DALLA PANCHINA – A decidere la partita è stato il gol di Mario Goetze, servito con un cross perfetto da Andrè Schurrle: entrambi i calciatori erano entrati in campo a partita in corso, subentrando rispettivamente a Miroslav Klose (di cui dirò più avanti) e Christoph Kramer. Un altro grande merito della Germania: aver potuto contare su titolari di assoluto valore e su ricambi all’altezza!

LA COPPA RESTA IN EUROPA – Quello della Germania è il terzo successo consecutivo ottenuto da una squadra europea ai Mondiali: dopo l’ultimo successo ottenuto dal Brasile nel 2002, sono arrivate le vittorie dell’Italia nel 2006, della Spagna nel 2010 e quella ottenuta oggi dalla compagine teutonica; per completezza d’informazione, va detto che è la prima volta che un’europea si aggiudica il trofeo in un’edizione disputata in America (l’Uruguay aveva vinto in casa nel 1930 e proprio in Brasile nel 1950, il Brasile aveva vinto in Cile nel 1962, in Messico nel 1970 e negli Stati Uniti nel 1994 e l’Argentina aveva vinto in casa nel 1978 e in Messico nel 1986)

UN RILANCIO PARTITO DA LONTANO – 23 giugno 2004, Lisbona, stadio “Josè Arvalade”. La Germania viene sconfitta per 2-1 dalla Repubblica Ceca (di Ballack il gol del momentaneo vantaggio teutonico, di Baros e Heinz le successive reti ceche) ed eliminata al primo turno dall’Europeo portoghese. Di lì a pochi giorni la Federazione tedesca decide di esonerare il C.T. Rudi Voeller e di affidare la panchina a Jurgen Klinsmann; assistente dell’ex centravanti di Inter e Sampdoria è Joachim Loew, reduce dall’esperienza sulla panchina dell’Austria Vienna. Con l’avvento di Klinsmann la Germania si rilancia e, potendo contare sull’apporto di elementi di esperienza come Lehmann, Ballack, Schneider e Klose e sulla definitiva esplosione di giovani talenti come Metzelder, Lahm, Frings, Schweinsteiger e Podolski, centra il terzo posto ai Mondiali giocati in casa nel 2006. Al termine di quella kermesse mondiale Klinsmann decide di non rinnovare il proprio contratto e lascia la panchina dei panzer, e così la Federazione decide di affidare il timone della Nazionale proprio a Loew, che prosegue l’opera iniziata da Klinsmann e, puntando su ulteriori talenti sfornati dalle Nazionali giovanili (da Neuer a Muller, passando per i vari Hummels, Boateng, Khedira e Kroos), porta la Germania ad ottenere un secondo posto agli Europei del 2008, un terzo posto ai Mondiali del 2010, ad uscire dagli Europei del 2012 in semifinale (battuta per 2-1 dall’Italia di uno scatenato Balotelli) e a raggiungere il risultato che abbiamo visto tutti a questi Mondiali. Questo progetto tecnico a lunga gittata, unitamente alla riorganizzazione degli assetti federali e alla valorizzazione seria dei giovani talenti locali, ha contribuito in maniera determinante al rilancio di un calcio tedesco che solo dieci anni fa faceva i conti con una crisi tecnica e di risultati che ricorda molto da vicino la situazione attuale del calcio italiano: chissà che un domani, se dalle nostre parti subentrasse una seria volontà di voltare pagina…

NEUER: LA DEFINITIVA CONSACRAZIONE DI UN FENOMENO – Ormai da cinque anni si parla di Manuel Neuer come di un predestinato, ma questi Mondiali hanno sancito la definitiva consacrazione del numero uno del Bayern Monaco: quando Gianluigi Buffon appenderà definitivamente al chiodo scarpette e guantoni, non ci sarà da interrogarsi su chi sarà il miglior portiere al mondo! Se poi consideriamo che alle spalle di Neuer si sta affermando il giovane neo-portiere del Barcellona Marc-Andrè ter Stegen, di cui si dice un gran bene da un paio d’anni e che ha fatto vedere cose egregie, deduciamo che per almeno altri 20/25 anni in Germania non si porranno il problema relativo ai portieri…

CIAO, MIRO. E COMPLIMENTI! – Quando al minuto 88 è stato richiamato in panchina per far posto a Mario Goetze, Miroslav Klose si è ufficialmente congedato dai Mondiali di calcio dopo essersene laureato miglior marcatore di sempre con i 16 gol segnati nelle sue quattro apparizioni (2002, 2006, 2010 e 2014) davanti a due mostri sacri come Gerd Muller e Ronaldo. Chapeau!

L’ARGENTINA E LA BESTIA NERA GERMANIA – Nel 1986 l’Argentina guidata in panchina da Carlos Bilardo e in campo dalle magie di Diego Armando Maradona vinse il suo secondo (e ultimo) titolo mondiale sconfiggendo per 3-2 la Germania nella finale di Città del Messico. Da allora l’Albiceleste è sempre uscita sconfitta da confronti mondiali contro la selezione teutonica: dal rigore (inesistente) trasformato da Andreas Brehme nella finale del 1990 al 4-0 con cui Klose e compagni travolsero l’Argentina allenata da Maradona quattro anni fa in Sudafrica, passando per le parate di Lehmann nel quarto di finale dei Mondiali del 2006. Se non si può parlare di bestia nera, trovate voi un altro termine…

MESSI E LA GRANDE OCCASIONE PERSA – Conducendo l’Argentina alla vittoria, magari mettendoci il proverbiale timbro del campione, Lionel Messi avrebbe potuto mettere definitivamente a tacere quanti sostengono che il suo talento si ridimensioni ogni volta che dismette la maglietta del Barcellona per indossare quella della sua Nazionale. Caro Leo, i tuoi mezzi tecnici non si discutono, ma Diego Armando Maradona (per dire di uno che alle spalle non aveva Xavi, Iniesta e Neymar, ma ha vinto due scudetti con il Napoli insieme ai vari Bruscolotti, Ferrario e Garella e un Mondiale con l’Argentina insieme a Pumpido, Brown, Giusti e Burruchaga!) era, è e sarà sempre un’altra cosa…

LO SCIAGURATO PIPITA – Certi errori davanti alla porta sono di per sé gravi per un centravanti, ma se commessi in una finale mondiali sono ancora più gravi: per informazioni rivolgersi a Gonzalo Higuaìn, che nel primo minuto si è presentato a tu per tu con Neuer, ma ha finito per sciupare l’occasione come neanche lo sciagurato Egidio Calloni o il mitico Luther miss it Blissett. E dire che poco dopo il Pipita un gol l’ha pure segnato, ma la sua posizione al momento dell’assist di Lavezzi era irregolare e l’assistente del signor Rizzoli ha annullato tutto… P.S. L’assistente dell’arbitro Rizzoli che annulla un gol segnato da Higuaìn su assist di Lavezzi: chissà che da qualche parte non si inventino a breve un complotto pro-Juve!

SABELLA, DIMMI UN PO’… – A proposito dell’occasione sciupata da Higuaìn e alla luce delle occasioni fallite anche da Messi nel secondo tempo e da Palacio nei supplementari, mi piacerebbe sentire dal Commissario Tecnico dell’Albiceleste Alejandro Sabella quella vecchia storia secondo cui Carlitos Tevez non sarebbe servito a quest’Argentina. Ma del resto lo sanno anche le pietre che l’Apache è sovrappeso, segna poco e rovina gli spogliatoi: pare infatti che Conte non dorma al solo pensiero di ritrovarselo davanti domani in occasione dell’inizio del ritiro estivo della Juventus…

MA GONZALO NO? – Come è noto, non sono un simpatizzante della Fiorentina per ovvie ragioni. Detto questo, mi chiedo se nella difesa argentina avrebbe sfigurato un difensore tosto e tecnicamente validissimo come Gonzalo Rodriguez, specie se al suo posto ha giocato titolare uno come Martin Demichelis…

BLATTER E QUELL’ASSENZA NEL 2006… – Nel vedere il numero uno della FIFA Sepp Blatter premiare i tedeschi neo-Campioni del Mondo non ho potuto fare a meno di ripensare a quando lo stesso Blatter rifiutò di premiare gli azzurri nel 2006 a Berlino. E pensare che forse questa è stata la nefandezza minore commessa dal personaggio Blatter in oltre 30 anni di occupazione del potere pallonaro mondiale…

LO ZIO VISIONARIO – Trovandomi in Gran Bretagna ho visto la partita sulla BBC gustandomi una telecronaca degna di questo nome. Un vero peccato perché in tal modo non ho potuto assistere in diretta all’estasi mistica dello Zio Bergomi, che al minuto 107 ha scambiato l’arbitro Rizzoli con il suo ex collega Rosetti: considerato che Bergomi era al fianco di Caressa il 1 marzo 2013, quando il buon Fabio concluse la telecronaca di Napoli-Juventus 1-1 dicendo “Napoli batte Juventus 1-1” (non sto scherzando, l’ha detto davvero!), evidentemente deve trattarsi di un virus contagioso…

THANKS, BBC! – A proposito di Gran Bretagna e BBC, devo dire che seguire questi Mondiali attraverso la televisione pubblica d’Oltremanica è stata un’esperienza fantastica: del resto volete mettere i commenti post-gara di gente come Ferdinand, Shearer, Seedorf, Cannavaro e Ian Wright con le supercazzole del primo Beppe Bergomi che passa per strada?

giovedì 10 luglio 2014

Agnelli e Macalli, la critica e l’insulto


A prescindere dalle preferenze che può esprimere ciascuno di noi a livello personale, in dinamiche come quelle che stanno precedendo l’elezione del nuovo presidente della Federcalcio è perfettamente legittimo che Andrea Agnelli e Mario Macalli si trovino su posizioni contrapposte l’una all’altra, così come è pienamente legittimo che il primo (spalleggiato da Barbara Berlusconi e, notizia di oggi, anche dal presidente romanista James Pallotta) sostenga la tesi dell’inadeguatezza di un’eventuale presidenza di Carlo Tavecchio e il secondo la difenda a spada tratta. 

Tutto legittimo, per carità. Quello che non è per nulla legittimo è il fatto che Macalli risponda a critiche nel merito come quelle mosse dal presidente juventino in una maniera così piccata e violenta. A prescindere dal fatto che Andrea Agnelli e il ramo della famiglia da cui discende poco o nulla ha contato nella gestione della FIAT (la quale è stata appannaggio dell’Avvocato prima e dei suoi eredi designati poi), il fatto che l’azienda automobilistica torinese ha contato su aiuti di Stato nelle varie tappe della propria lunga esistenza spiega forse per quale ragione Agnelli sbaglia e per quale ragione Tavecchio sarebbe un buon presidente della Federcalcio? Il fatto che poi Macalli abbia espresso un pensiero condiviso da larga parte dell’opinione pubblica italiana è altresì vero, ma da che mondo e mondo la gente che chiacchiera al bar è una cosa e un dirigente calcistico di lunga esperienza è decisamente un’altra; e poiché Macalli non è un passante distratto, bensì il numero uno della Lega Pro e il possibile vice-presidente della Federcalcio, forse gli si richiederebbe tutt’altro tono e tutt’altro bon-ton. Ma del resto ci sarà una ragione se tempo fa qualcuno coniò il detto secondo cui “il pesce puzza dalla testa”, no? 

Dopodichè aspetto sempre che, anziché limitarsi solo a parlare del futuro Commissario Tecnico della Nazionale (argomento importante, per carità, ma non tale da essere etichettato come l’emergenza delle emergenze!) o ad insultare chi è schierato dall’altra parte in nome di una lesa maestà francamente ridicola, Tavecchio e Macalli spieghino più dettagliatamente il loro programma per rilanciare un calcio italiano che vive la situazione che abbiamo sotto gli occhi: dal rilancio di vivai che non funzionano (o che, nella migliore delle ipotesi, funzionano a singhiozzo) all’annoso problema della violenza negli stadi, fino ad arrivare a quella legge sugli stadi medesimi che ormai da anni riposa in pace in qualche cassetto del Parlamento italiano. 

È utopia aspettare risposte a questioni come quelle sopra elencate? 
(Non affannatevi a rispondere a quest’ultima domanda perché la risposta la conosco benissimo…) 



Foto: intelligonews.it e sportvesuviano.com

sabato 5 luglio 2014

E ripenso a Zoff...


Prima il codice etico e la continua pretesa di compiacere la pubblica opinione (impresa in cui hanno fallito persino Enzo Bearzot e Marcello Lippi, due che qualcosina sulla panchina azzurra hanno vinto...), poi il disastro brasiliano, la manfrina di un rinnovo in realtà mai esistito, le dimissioni e il successivo accasamento al Galatasaray con modalità che lasciano pensare che i contatti con il club turco fossero stati presi già prima di partire per il Brasile (a tal proposito faccio presente che il direttore sportivo del club turco si chiama Tomas Ujfalusi...): insomma, pur ritenendo Cesare Prandelli un buon allenatore e riconoscendo la piena legittimità della sua scelta di sedere sulla panchina del club di Istanbul (un professionista può piacere o meno, ma sempre professionista resta!), devo dire che negli ultimi due mesi i comportamenti del tecnico di Orzinuovi mi hanno suscitato più di una perplessità. E proprio l'aspetto relativo alle dimissioni mi riporta alla mente quanto accadde 14 anni fa ad un altro Commissario Tecnico, che di Prandelli era stato compagno di squadra ai tempi della Juventus e predecessore sulla panchina della Fiorentina: si tratta di un monumento del calcio come Dino Zoff e delle sue dimissioni ad appena 48 ore di distanza dalla sconfitta nella finale europea di Rotterdam nel 2000.

Rotterdam, 2 luglio 2000. L'Italia affronta la Francia dopo aver battuto l'Olanda in una semifinale eroica (in 10 per quasi tutta la partita, gli azzurri avevano resistito all'arrembaggio degli orange e poi avevano prevalso ai calci di rigore) e al 91' la squadra di Zoff conduce per 1-0, grazie al gol di Marco Delvecchio, e ha sprecato con Alex Del Piero due ghiottissime occasioni per raddoppiare e chiudere i conti; mancano pochi secondi al fischio finale, quando un errore in disimpegno di Fabio Cannavaro smarca Sylvain Wiltord, che batte Francesco Toldo con un diagonale chirurgico e regala l'insperato pareggio ai transalpini. Si va così ai supplementari, ma l'Italia psicologicamente è a terra e subisce il golden gol di Davìd Trezeguet, attaccante che pochi giorni dopo sbarcherà proprio in Italia per vestire la maglia della Juventus; a fine partita i calciatori azzurri sono delle maschere di delusione, mentre i francesi salgono sul tetto d'Europa due anni dopo esser saliti su quello del mondo.

Milanello, 3 luglio 2000. Durante la tradizionale conferenza stampa che apre il ritiro estivo del Milan, il patron rossonero Silvio Berlusconi (che diventerà Presidente del Consiglio vincendo le elezioni in programma meno di un anno più tardi) parla della finale europea di 24 ore prima e, con la modestia e la moderazione che contraddistinguono da sempre il personaggio, spara a zero sul Commissario Tecnico Dino Zoff: "Per amor di patria sto zitto. Perchè mi sono veramente...mi sono dispiaciuto, ma anche indignato. Si poteva vincere, assolutamente, si doveva vincere. Ma non era possibile non vedere certe cose che accadevano sul campo e a cui si doveva mettere rimedio. No, no, riguardo alla conduzione della nostra Nazionale. Ma non si può lasciare la fonte di gioco con Zidane libero di essere l'iniziatore di tutte le azioni avversarie senza mettergli, negli ultimi minuti almeno, uno che lo anticipasse. A destra, a sinistra, son partite dal suo piede le azioni pericolose che poi hanno portato a fare il gol. Era una cosa che guardando la partita non si poteva non vedere. Un dilettante l'avrebbe visto e avrebbe vinto se si fosse fermato Zidane con uno che lo anticipasse e lo marcasse da vicino. I nostri giocatori galleggiavano a cinque, quattro metri di distanza da lui. Non era possibile che un allenatore, professionista, non vedesse una cosa del genere. Io non so, non lo so, ma è una cosa indegna. Quello che ho visto ieri sera è stato indegno. Mi aggiravo su e giù, dico: ma non vedete, ma non capite, ma è possibile, ma cribbio, non lo so. Avremmo vinto, bastava questo, tutto lì. No, c'è soltanto il fatto che uno o ha acutezza e intelligenza o non ce l'ha. Tutto qui".

Roma, 4 luglio 2000. All'indomani delle dichiarazioni sopra riportate di Berlusconi, Dino Zoff convoca una conferenza stampa nella quale annuncia le proprie dimissioni irrevocabili da selezionatore della Nazionale: "Dal signor Berlusconi non prendo lezioni di dignità. Non è giusto denigrare il lavoro degli altri pubblicamente, non è giusto che non si rispetti un uomo che fa il suo lavoro con dedizione ed umiltà. E' stato offeso un uomo e la sua professionalità, è mancato il rispetto per un lavoratore e questo io non posso accettarlo. Devo rispondere al signor Berlusconi, solo a lui, non a quello che rappresenta. Non è una presa di posizione politica, lo sapete, la mia unica politica è sempre stata lo sport. Ci sono rimasto particolarmente male per le sue parole. Certamente non ho dormito bene". Giusto per amor di cronaca: lasciata la Nazionale, Zoff resterà disoccupato fino al gennaio del 2001, quando la Lazio lo ingaggerà per sostituire l'esonerato Eriksson; sulla panchina azzurra, invece, si insedierà quel Giovanni Trapattoni che di Zoff era stato l'allenatore ai tempi in cui Dinone difendeva la porta della Juventus e che rimarrà in carica fino al 2004.

Facendo raffronti tra passato remoto (il Zoff del 2000) e recente (il Prandelli di non molti giorni fa), se io dovessi scegliere di fronte a quali dimissioni togliermi il cappello e applaudire non avrei alcun dubbio. E non certo per il fatto che Zoff ha giocato nella Juventus e ne è stato per due anni l'allenatore...


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giovedì 3 luglio 2014

Lo strano (ma neanche troppo...) caso di Vincenzo Santoruvo


Ricordate il filone Bari-bis del calcioscommesse, ovvero quello per il quale tanti paventavano lo spettro di una possibile nuova squalifica per omessa denuncia a carico di Antonio Conte (salvo poi non fare uno straccio di retromarcia quando il nome dell'attuale allenatore della Juventus non è comparso nell'elenco dei soggetti deferiti dal Procuratore Federale Stefano Palazzi) e che nell'estate dello scorso anno portò a numerose squalifiche a carico di ex tesserati della società biancorossa? Bene, oggi il TNAS, l'organo che rappresenta l'ultimo grado della giustizia sportiva e che lascerà il posto al neonato Collegio di Garanzia dello Sport per effetto della riforma del Codice di Giustizia Sportiva varata dal CONI, ha emesso il proprio verdetto a carico di Vincenzo Santoruvo, che si è visto confermare la squalifica di 3 anni e 6 mesi inflittagli sia dalla Commissione Disciplinare di Artico in primo grado che dalla Corte di Giustizia Federale di Mastrandrea in appello.

Nulla di strano, se non fosse che questo verdetto del TNAS arriva quasi un anno esatto dalle precedenti sentenze emanate dagli organi di giustizia sportiva. Riepiloghiamo, in breve, le date:
  • 6 giugno 2013: Santoruvo viene deferito dal Procuratore Federale Stefano Palazzi per illecito sportivo
  • 4 luglio 2013: nel processo sportivo, iniziato davanti alla Commissione Disciplinare, Palazzi chiede per Santoruvo una squalifica di 3 anni e 6 mesi
  • 16 luglio 2013: l'organo giudicante di primo grado accoglie la richiesta di Palazzi e squalifica per 3 anni e 6 mesi Santoruvo
  • 26 luglio 2013: inizia il processo d'appello davanti alla Corte di Giustizia Federale
  • 27 luglio 2013: la Corte di Giustizia Federale conferma la condanna inflitta in primo grado

E si arriva ad oggi, con il TNAS che emette il proprio verdetto a 11 mesi e 6 giorni esatti dalla decisione presa in appello dalla Corte di Giustizia Federale. Dobbiamo ammettere che nelle varie "puntate" di questa sgradevole vicenda del calcioscommesse non ci siamo fatti mancare proprio niente: calciatori sbattuti in prima pagina, cacciati con ignominia dal ritiro della Nazionale e poi scagionati da ogni addebito (Criscito); allenatori iscritti nel registro degli indagati con annesso can-can mediatico, processati nello spazio di poche settimane e condannati semplicemente perchè "non potevano non sapere" (Conte); pentiti dalla credibilità a targhe alterne (Carobbio); calciatori che hanno ammesso di essere stati indotti a fare nomi altisonanti per vedersi ridotte le sanzioni (Locatelli e Paoloni); calciatori arrestati e processati dopo più di un anno (Mauri). All'appello mancava soltanto la discrepanza temporale tra i vari gradi di giudizio, ma con questo filone Bari-bis anche questo tassello può essere inserito nel desolante quadro della giustizia sportiva italiana! Sempre che a qualcuno interessi ancora qualcosa di tutto ciò, ben inteso...


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mercoledì 2 luglio 2014

Si chiamava Andrès...


"Per tutti ha pagato il più bravo, semplicemente il più bravo. Quello che per doti umane, calcistiche e per risorse era destinato ad essere per sempre un leader. Questo Paese ormai è un manicomio permanente!": parole pronunciate il 3 luglio 1994 da Francisco Maturana, uno dei più famosi e vincenti allenatori del calcio sudamericano nonchè Commissario Tecnico della Nazionale colombiana. Cosa era successo? Semplice: appena 24 ore prima era stato brutalmente assassinato il leader difensivo di quella Nazionale e della squadra locale più forte e blasonata, il Nacional de Medellìn. Aveva 27 anni ed era nato proprio a Medellìn. Si chiamava Andrès Escobar.

Formatosi nel Colegio Calazansen, formazione giovanile colombiana, nel 1987 il 20enne Andrès approda al Nacionàl de Medellìn e lì si impone agli occhi del mondo, al punto che nel 1989 Arrigo Sacchi spende parole di elogio nei suoi confronti dopo il match di Coppa Intercontinentale che ha visto il Milan prevalere proprio contro la squadra di Escobar. Nel 1990 il ragazzo viene convocato da mister Maturana per i Mondiali italiani, ma la corsa dei Los Cafeteros si interrompe agli ottavi di finale contro il Camerun del quarantenne Roger Milla, che li batterà per 2-1 prima di arrendersi ai quarti con il medesimo punteggio al cospetto dell'Inghilterra guidata in panchina da Sir Bobby Robson e in campo dai vari Peter Shilton, David Platt e Paul Gazza Gascoigne. Quattro anni dopo, però, la Colombia si presenta alla kermesse mondiale statunitense con credenziali decisamente più alte: la squadra, seppur priva del suo mitico portiere Renè Higuita (alle prese con problemi giudiziari in patria), può comunque contare sulla classe cristallina di elementi del calibro di Carlos Valderrama, Adolfo Valencia, Freddy Rincon, Faustino Asprilla e, per l'appunto, Andrès Escobar; a testimonianza della forza di quella squadra c'è soprattutto il roboante 5-0 che essa infligge a domicilio all'Argentina durante il girone di qualificazione, in una partita che Batistuta, Simeone e compagni dimenticherebbero ben volentieri. Pur inserita in un girone tutto sommato abbordabile composto da Romania, Stati Uniti e Svizzera e indicata da più parti come la vera outsider del Mondiale, la squadra di Maturana parte con il piede sbagliato, viene sconfitta per 3-1 dalla Romania di uno straordinario Gheorghe Hagi nel match d'esordio e il successivo incontro con gli Stati Uniti padroni di casa si trasforma in un'inaspettata ultima spiaggia: la gara, che si gioca il 22 giugno a Pasadena, viaggia sullo 0-0 quando al 35' un cross dalla sinistra viene intercettato accidentalmente proprio da Escobar, che mette fuori causa il proprio portiere Oscar Cordoba (che nella stagione 2001/02 giocherà in Italia nel Perugia) e regala il vantaggio agli statunitensi, mentre a fissare il punteggio sul definitivo 2-1 in favore di questi ultimi ci penseranno i successivi gol dell'americano Earnie Stewart e del colombiano Adolfo Valencia. A nulla vale il 2-0 rifilato alla Svizzera nell'ultimo incontro, che chiude al primo turno l'avventura colombiana e induce Escobar a dichiarare ai giornali quanto segue: "Sono il più deluso di tutti. Sono deluso, come voi. Però, cari signori, la Colombia e soprattutto la vita continuano".

Mai profezia si rivelerà più errata! Pochi giorni dopo, esattamente il 2 luglio, Andrès si trova con la sua fidanzata in un locale di Medellìn e ha un diverbio con alcuni esponenti di spicco dei Pepes, un'organizzazione criminale dedita al narcotraffico in Colombia, e nel parcheggio l'ex guardia giurata Humberto Munoz Castro, che lavora come guardia del corpo per uno dei leader dell'organizzazione in questione, gli scarica addosso 12 colpi di mitraglietta uccidendolo sul colpo; il movente dell'omicidio, con ogni probabilità, è l'enorme quantitativo di denaro che le organizzazioni criminali colombiane hanno perso in seguito all'eliminazione della Nazionale di Maturana al primo turno del Mondiale che si concluderà di lì ad una quindicina di giorni.

La follia di tutta questa storia, purtroppo, non finisce qui: identificato dalla fidanzata del calciatore ucciso e da numerosi altri testimoni, Castro viene processato e condannato a 43 anni di reclusione, ma nel 2001 la pena viene ridotta a 26 anni per effetto della riforma del codice penale da poco varata dal governo colombiano e nel 2005 l'uomo viene addirittura scarcerato in seguito ad una sentenza ritenuta da più parti controverse.

Un iter processuale folle per un omicidio folle e legato ad un'autorete che probabilmente ha rappresentato uno dei pochi errori nella carriera di un calciatore nato leader. Aveva solo 27 anni. Si chiamava Andrès ed era semplicemente un leader...


Foto: olimpiazzurra.com