venerdì 18 gennaio 2013

Gianello e i "David Copperfield de no' altri"

E' uscita nel tardo pomeriggio di ieri la sentenza della Corte di Giustizia Federale in merito al filone napoletano del calcioscommesse: sono state notevolmente ridimensionate le sanzioni inflitte in primo grado dalla Commissione Disciplinare, soprattutto per quanto riguarda il Napoli (confermata la responsabilità oggettiva e la sanzione pecuniaria causa la condanna di Gianello, ma annullata la penalizzazione in classifica di 2 punti) e i suoi calciatori Paolo Cannavaro e Gianluca Grava (entrambi assolti dall'imputazione di omessa denuncia per cui erano stati condannati in primo grado).

In attesa di entrare nel merito delle decisioni prese dall'organo giudicante della FIGC (le motivazioni saranno depositate entro i prossimi 30 giorni), c'è un particolare di cui pochi hanno parlato ma che è abbastanza singolare in tutta questa vicenda: quello relativo a Matteo Gianello. Come si ricorderà, Gianello aveva confessato di aver combinato la gara Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010, ammettendo la propria colpa sia nell'interrogatorio reso ai magistrati napoletani che in quello reso alla Procura Federale, e nel dibattimento di primo grado l'ex terzo portiere del Napoli aveva proposto, per bocca dei propri avvocati, un patteggiamento di 16 mesi di squalifica; poichè, tuttavia, la Commissione aveva ritenuto non congruo il patteggiamento e la condanna finale era stata di 3 anni e 3 mesi per illecito sportivo.

Bene, la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Federale ha ridotto la squalifica di Gianello a 1 anno e 9 mesi, ma la questione vera è un'altra: il reato di Gianello è stato derubricato da "illecito sportivo" a semplice violazione dell'articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva (lealtà sportiva) e dell'articolo 6 del medesimo (divieto di scommesse). Derubricazione che sarebbe minimamente comprensibile se Gianello fosse un semplice imputato (stile Cannavaro e Grava), ma che risulta totalmente incomprensibile se si considera che lo stesso portiere è arrivato a questo processo come reo confesso di un'imputazione ben precisa (l'illecito sportivo, per l'appunto).

Sarebbe un po' come se io confessassi di aver ucciso qualcuno, fossi processato e poi fossi condannato per atti osceni in luogo pubblico: situazione inconcepibile in qualunque tribunale (anche italiano) minimamente degno di questo nome, ma possibilissima in questa giustizia sportiva popolata da novelli David Copperfield...

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